Descrizione
“Sono venuta in Italia per vivere e non per fare una vacanza”. Yuliia Ternovenko ha vent’anni, studia Scienze della comunicazione all’università, pratica la danza ed è appassionata di fotografia. Le piace studiare perché dopo ogni esame sente che le sue conoscenze linguistiche e culturali aumentano, la prima sessione non è stata facile a causa della lingua ma preferisce lo stesso gli orali agli scritti perché permettono di spiegarsi meglio anche senza l’uso di un linguaggio perfetto. Ha iniziato a quattro anni con la danza classica per poi continuare con quella sportiva per tredici anni arrivando a praticare tutti i dieci stili standard e latino-americani. A volte fa shooting fotografici e adora il modo in cui dal piano professionale passa a quello personale stringendo rapporti con le persone con cui lavora. Ha conosciuto moltissime persone proprio così.
Yuliia è ucraina. Poco meno di tre anni fa ha lasciato la sua città natale e il suo Paese per andare prima in Francia a Marsiglia dai parenti e poi in Italia, più precisamente a Perugia. È partita con sua mamma ma non vivono insieme, lei vive da sola in una casa con altre ragazze. Ogni tanto va a trovare sua madre ma maggiormente la sente per telefono. Era abituata a stare da sola perché quando aveva quattordici anni aveva vissuto lontana dalla sua famiglia per due mesi e anche quando abitava con la madre la vedeva solo a colazione e cena e nel weekend a causa degli impegni di entrambe. Con la lontananza il loro legame si è rafforzato, adesso le volte in cui si vedono hanno molto più valore. Il loro rapporto si basa sulla fiducia reciproca, la madre non sa tutto quello che fa la figlia e ciò le permette di essere più libera e responsabile.
Per imparare l’italiano Yuliia ha usato vari metodi: i primi anni guardava video per la grammatica e si impegnava a parlare con i compagni di danza, poi nel 2024 ha iniziato a studiare con una tutor che era anch’essa una fotografa e originaria della sua stessa città. Stando a stretto contatto con altri studenti non ha avuto troppe difficoltà a imparare la lingua ed era anche più motivata per riuscire a comunicare al meglio.
Com’è per te vivere a Perugia?
“La vita a Perugia è molto lenta e tranquilla, c’è un ritmo molto diverso da quello a cui sono abituata e per questo non mi sento in equilibrio con l’ambiente. È come se la mia vita andasse veloce e la città, invece, tenesse un passo più rilassato. Qua basta fare poche cose al giorno con molte pause per riposare nel mezzo, mentre io fin da piccola ho sempre avuto giornate piene con tanti impegni pianificati perfettamente. Così ho cercato di riempire il più possibile le giornate con studio, lavoro, danza, vita sociale e altre attività. Per i primi due anni ho continuato così, ho resistito col pensiero di essere fortunata a poter fare tutte queste cose quando nel mio Paese c’è la guerra e molte persone ogni giorno rischiano la vita. Poi, però, nell’ultimo periodo ho iniziato a sentire la pressione di avere troppe cose da fare e a cui pensare, ho dovuto fermarmi e concentrarmi su me stessa a costo di risultare egoista. Ho deciso a malincuore di mettere in pausa la danza nonostante mi avesse accompagnata per tutta la vita e fosse la ragione principale del mio trasferimento nella città. È come se avessi lasciato indietro una parte di me. Ma stava diventando un peso sia mentalmente che finanziariamente.”
Com’è il tuo rapporto con l’Ucraina?
“Io sono originaria di Odessa, una grande città al sud dell’Ucraina. Mio padre e mio fratello maggiore sono rimasti lì, io sono venuta in Italia solo con mia madre. Quasi tutti i miei amici adesso vivono in altri Paesi d’Europa, altri invece sono ancora in Ucraina e vanno via solo nei momenti più critici. Ad agosto sono tornata nella mia città per la prima volta dopo quasi 3 anni. È stato un viaggio deciso all’ultimo, non programmato ma ho saputo all’improvviso che mio fratello avrebbe avuto un periodo di licenza e volevo approfittarne per andare a trovarlo. Ho rivisto i miei familiari e i miei amici che sono tornati anche loro in questo periodo. La situazione non era tranquilla però era vivibile. Sinceramente avevo paura di tornare, non sapevo cosa aspettarmi, come la città dove sono nata e le persone fossero cambiate. La stessa paura che mi ha spinta a partire 3 anni fa si è rifatta viva quando ho deciso di tornare a casa. Continuavo a pensare al giorno in cui mia madre mi svegliò la mattina presto per dirmi che era iniziata la guerra, al giorno prima in cui a scuola il professore invece di fare la normale lezione decise di parlarci di quello che stava per accadere consigliandoci di mantenere la calma qualsiasi cosa sarebbe successa perché in stato di panico non si riesce a ragionare correttamente, alla settimana prima in cui abbiamo preparato i bagagli in caso di fuga. Nei giorni che sono stata lì ho potuto osservare da vicino le conseguenze della guerra: edifici distrutti, le persone con disturbo post-traumatico che parlavano da sole in mezzo alla strada o urlavano e correvano in giro senza un apparente motivo, persone drogate o ubriache, senzatetto, persone con addosso ancora i segni delle ferite; e la cosa peggiore era pensare che tutti loro erano civili, persone comuni che sono finite in mezzo a cose che non li riguardavano e che non hanno scelto. Chi ha vissuto cose del genere non può più vivere come prima, la realtà ormai è diversa per tutti non solo per me. Anche andare al supermercato è diventato pesante, spesso ci si imbatte in persone che litigano per la lingua perché adesso tutti cercano di parlare solo l’ucraino e non più il russo. Non c’è stata notte in cui riuscivo a non piangere.
Però è andata bene, io sto bene, ho sentito solo allarmi e l’artiglieria da lontano e sono felice di aver rivisto tutti. Questa brutta situazione ci ha uniti, mi sento molto più vicina a tutte le persone che conosco perché siamo tutti sulla stessa barca. Cerchiamo di essere disponibili gli uni per gli altri e aiutarci a vicenda come una grande famiglia. Non siamo fisicamente insieme ma mentalmente sempre”.
Come e dove immagini il tuo futuro?
“All’inizio di tutto pensavo che sarei andata via per due settimane e poi sarei tornata a casa, adesso invece sono passati quasi 3 anni e sono ancora qui. È pesante. Ogni giorno da quando sono andata via spero che questa situazione finisca, ogni anno qualcosa cambia ma mai in positivo. Non ho idea di cosa succederà e di cosa farò in futuro. La mia vita è suddivisa in semestri, so cosa farò nei prossimi sei mesi, quali esami devo dare e quando finiscono pianifico i sei mesi successivi. So che a settembre andrò a Madrid per un anno in Erasmus. Ma non riesco a immaginare un futuro più lontano di questo. Per adesso cerco di fare donazioni per il mio Paese e parlo con mio fratello che sta nell’esercito per sapere come sta.
Sono sicura, però, che il mio futuro non sarà a Perugia perché l’aria generale che si respira qua non è mia, non fa per me. È una città molto piccola, per adesso va bene perché mi permette di fare una vita lenta e tranquilla ma in futuro sono sicura che vorrò andare via. Non riesco proprio a vedere il mio futuro qua”.
Giulia Angelica Belardinelli