Descrizione
Ci sono momenti in cui la cronaca ti sbatte in faccia una verità che non vorresti più vedere: i corpi delle donne continuano a essere trattati come oggetti di consumo. Succede nei gruppi di chat, nelle community online, perfino negli spazi culturali che dovrebbero accogliere le differenze. Una foto, un video, una performance: bastano pochi secondi perché si trasformino in materia di scherno, in valutazioni da “mercato del bestiame”, in una sequenza infinita di like, emoji e battutine sessiste. Non parliamo di episodi isolati. È un’abitudine tossica, un riflesso culturale che ci riguarda tutti. È quell’occhiolino sporco che giudica un corpo femminile come se fosse un bene collettivo da usare, sezionare, criticare. È una forma di violenza tanto subdola quanto pervasiva, perché cammina camuffata da ironia, da normalità. E intanto costruisce un clima in cui la libertà di esprimersi, di muoversi, di vestirsi e di desiderare diventa un lusso, non un diritto.
Ed è proprio qui che entra in gioco il Vù Festival. Perché se la radice del problema è culturale, la risposta deve essere culturale. Vù è un evento che non chiede permesso: nasce a Perugia dalla volontà di sette donne – professioniste, attiviste, ricercatrici – che hanno deciso di ribaltare lo schema. Non un palco per mostrare corpi, ma uno spazio per restituire parola, dignità e complessità al corpo femminile. Non un festival che mette in scena, ma che mette in discussione.
Il 20 settembre 2025 il festival torna nel suggestivo Chiostro del Méliès (Via della Viola 1), con un programma dalle 10 alle 19. La seconda edizione, dedicata a salute, benessere sessuale e desiderio, è il primo appuntamento in Umbria pensato specificamente per affrontare il tema della salute sessuale e riproduttiva femminile. Una giornata di incontri, workshop e momenti artistici che non si limitano alla prospettiva scientifico-medica, ma intrecciano psicologia, comunicazione e cultura. Tra le relatrici segnaliamo la ginecologa Silvia Pericoli, la psicoterapeuta Melania Fanello e le sessuologhe Elena Lenzi e Alessandra Braga. La pausa pranzo sarà proposta da Birà Food Coop, mentre il programma includerà anche una performance artistica pensata come spazio di riflessione creativa tra un’attività e l’altra.
Il tema scelto per quest’anno è “De sidera”, richiamo all’etimologia del desiderio: “mancanza delle stelle”. Un invito a riportare al centro i desideri e le esperienze delle donne e dei corpi femminili, ribaltando una storia in cui la sessualità femminile è stata taciuta, normata, ridotta a margine. Parlare di desiderio significa parlare di potere, di libertà, di diritto al piacere e alla salute. Significa reclamare uno spazio che la società non concede volentieri. Il Vù Festival è singolare e collettivo insieme. Singolare, perché ci ricorda che non siamo sol3 quando viviamo difficoltà, paure o tabù legati alla sessualità. Collettivo, perché ogni diritto – e i diritti sessuali in particolare – esiste davvero solo se viene riconosciuto e condiviso dalla comunità. È un lavoro di costruzione culturale che riguarda tutti, nessuno escluso. Il programma mescola saperi e linguaggi: talk con professioniste, workshop di auto-consapevolezza, laboratori artistici e performativi. La scelta è precisa: non relegare il discorso sul corpo femminile alla dimensione medica o clinica, ma aprirlo a quella culturale, sociale, relazionale. Perché il corpo non è un insieme di organi da curare, ma una storia, una memoria, una geografia di esperienze e desideri.
Come ricorda Ina Varfaj, del team del Vù Festival: “Da sempre le femministe portano il corpo in piazza per rivendicare diritti e spazi nei quali sono state storicamente escluse o incluse solo come oggetti ‘del desiderio’. Ribaltando la narrazione, partendo dai nostri corpi diventiamo protagoniste, consapevoli di una nuova lotta. La potenza del corpo si unisce perfettamente con lo strumento della comunicazione: chiamare le cose con il loro nome significa darne voce, significa riconoscere che esistono. E già solo dire ‘Io desidero’ è un messaggio chiaro”.
Un festival così serve perché costringe a guardare in faccia la radice della violenza. Non basta indignarsi quando un commento sessista diventa virale: bisogna cambiare il linguaggio, i comportamenti, i riferimenti culturali. E questo non si fa con un post indignato, ma con esperienze collettive capaci di generare nuove narrazioni.
Provocatorio? Sì. Necessario? Ancora di più. Perché se non ora, quando? Se le nuove generazioni continuano a crescere in ambienti dove il corpo femminile è giudicato prima che ascoltato, allora festival come Vù diventano un fronte di liberazione. Non un evento da calendario, ma un atto politico. La verità è che ognuno di noi ha una scelta davanti: continuare a ridere delle battutine o decidere di smettere. Continuare a trasformare corpi in vetrine da scorrere o entrare in uno spazio dove il corpo parla, chiede, desidera. Il Vù Festival non promette soluzioni facili, ma offre un terreno nuovo. E in tempi in cui la misoginia si nasconde dietro la normalità, anche solo questo è un atto radicale. Perugia non diventa la capitale della “correttezza”, ma qualcosa di molto più interessante: il laboratorio di una rivoluzione culturale che mette al centro la libertà e il piacere di chi, troppo spesso, è stata ridotta al silenzio. È un invito. È un ultimatum. È un festival che dice a voce alta: il corpo non è un commento.
Chiara Scialdone